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Waste Not

Courtesy Barbican Art Gallery

 

 

Se l’arte di conservare gli oggetti nell’attesa di un riutilizzo futuro era, nella Cina Maoista, un modo di quotidiana sopravvivenza, oggi, grazie all’artista cinese Song Dong, si trasforma in una vera espressione artistica. L’installazione Waste Not, dopo aver già fatto il giro del mondo (Beijin, Tokyo, New York, Vancouver, Corea) è ora in corso presso il Barbican Centre di Londra e raccoglie, disposti lungo tutta la superficie dello spazio The Curve, oltre 10000 oggetti di vita domestica che la madre dell’artista, Zhao Xiangyuan, ha usato, riciclato e conservato in oltre cinquanta anni di vita.
 
 
 
 
 
 
La serie di oggetti esposti sono meticolosamente distribuiti ed allineati quasi a rendere l’immagine di una scena ferma nel tempo, che torna a rivivere ogni volta in un luogo differente. 
Poveri arredi in legno, lunghe serie di stoviglie, ciotole, tazze, mestoli, cucchiai arrugginiti, vasi, bottiglie, accendini, tappi di bottiglia, tubetti di dentifricio ormai vuoti, file di scarpe (ognuna ancora con il proprio compagno), buste per la spesa, vecchi giochi, suppellettili e vettovaglie diventano i veri protagonisti.
 
 
 
 
 
 
Il vasto archivio di oggetti, che per anni Zhao ha custodito accatastati nella sua piccola dimora come fossero beni preziosi, è ora una monumentale opera. La mostra, che descrive l’intima dimensione domestica della famiglia Dong, nasce per sopperire al profondo dolore causato dalla morte del padre dell’artista. Song decide di mettere in mostra gli oggetti conservati dalla madre per aiutarla a superare la forte depressione in cui era caduta. 
L’installazione è ora il memoriale di una donna, di una vita familiare e il riordino di ricordi e passate memorie; il ritratto di una società segnata dalle turbolenze politiche e sociali che hanno fatto dell’arte del “wu jin qu yong” (non bisogna sprecare nulla) una raccolta maniacale: il segno distintivo di un paese parsimonioso volto al cambiamento globale e ad una visione spasmodica del consumismo.
 
 
 
testo di Katiuscia Matteucci
 
 
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