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IL FARO NERO MEDITERRANEO

IL FARO NERO MEDITERRANEO

PROGETTISTA: Gianpaolo Buccino alias TERRI

  • Anno: : 2011
  • Categoria: : Altro
  • Visto: 668 VOLTE
DESCRIZIONE: IL FARO NERO DEL MEDITERRANEO di Gianpaolo Buccino alias TERRI. 99.0.1 - Odissea all’Alba o Alba dell’Odissea (Il Perché) “Un filo rosso lega...
IL FARO NERO DEL MEDITERRANEO di Gianpaolo Buccino alias TERRI. 99.0.1 - Odissea all’Alba o Alba dell’Odissea (Il Perché) “Un filo rosso lega queste date: 11 settembre 2001, 28 agosto 2005, 15 settembre 2008, 14 gennaio 2011, 18 febbraio 2011, 11 marzo 2011. L’attacco alle Torri Gemelle, l’uragano Katrina in Florida, il crac di Lehman Brothers a Wall Street, la caduta dei regimi di Ben Alì in Tunisia e Hosni Mubarak in Egitto, lo tsunami in Giappone. Questi eventi sono gli shock e le sfide che ci presenta la contemporaneità. Potrei aggiungere altre date al calendario, ma la miscela di guerre asimmetriche e terrorismo, catastrofi naturali, crisi finanziarie, ondate migratorie e rivoluzioni di massa, è il cocktail ad alta gradazione del nostro avvenire. La caduta del muro del Nord Africa, la guerra civile in Libia, gli esodi biblici di uomini, donne e bambini che emergono dalle sabbie del deserto del Maghreb e chiedono libertà e benessere, rappresentano per l’Europa - e l’Italia in particolare - il risveglio nel bel mezzo del Mare Nostrum, il Mediterraneo, che avevamo dimenticato. [,,,] Una catena di tsunami naturali, economici, militari e finanziari sollecitano risposte coraggiose e capacità di visione. Servirebbe un faro gigantesco per illuminare questo scenario di [Grande Dimensione] […]”. 99.0.2 - Ciò che è orientale è anche meridionale e ciò che è occidentale è anche settentrionale (Il Dove) Il Mediterraneo è il “cuore del Vecchio Mondo”. È questa una definizione storica, non solo geografica. A Braudel sta a cuore di stabilire che “il Mediterraneo non si è mai rinchiuso nella propria storia, ma ne ha rapidamente superato i confini” su tutti i quattro punti cardinali. Anzi, “la caratteristica più evidente del destino del Mare Internum è l’essere inserito nel più vasto insieme di terre emerse del mondo”, nell’insieme, cioè, del “gigantesco continente unitario” euro-afro-asiatico dove gli uomini hanno trovato “il grande scenario della loro storia universale”. Ma “l’immagine una del mare” non è rotta soltanto dalla sua realtà estremamente molteplice. È rotta anche da “grandi contrasti” (tre civiltà e tre religioni monoteistiche originarie convivono) e questo perché “il Mediterraneo è troppo allungato secondo i paralleli”. E “la soglia di Sicilia lo spacca in due, più ancora che riunirne i frammenti”. La messa in evidenza di questo orizzonte così definito fa cogliere la particolarità dell’Italia, che vi “trova il senso del proprio destino”, costituendo essa “l’asse mediano del mare” ed essendosi “sempre sdoppiata, molto più di quanto non si dica di solito, tra un’Italia volta a Ponente e un’altra che guarda a Levante”. Sembra perciò di poter intendere la linea di divisione fra i due bacini, orientale e occidentale, del grande mare - la linea che corre lungo il Canale di Sicilia, passando da Corfù a Cartagine - come la parte centrale della “diga” ipotizzata quale possibile divisione fra il Nord e il Sud del Mediterraneo. 99.0.3 - Così parlò Zarathustra (Il Come) “L'obiettivo era quello di solleticare l'animo, l'interiorità delle persone, spingerle a confrontarsi con l'Universo e con ciò che ci potrebbe essere oltre, risvegliare il loro senso dell'Infinito. D'altra parte, chiunque non guardasse all'Universo con entusiasmo e inquietudine, e non contemplasse l'idea dell'esistenza di un mondo 'altro', dimostrerebbe di non avere alcuna anima... 2001 Odissea nello Spazio stimola la nostra ambizione di Assoluto, ci spinge a immaginare scenari possibili proiettandoci oltre lo spazio, oltre le stelle, apre una porta al sogno dell'Immortalità e suggerisce l'idea di un cosmo multiforme, multicolore, straordinariamente aldilà, nelle sue più lontane dimensioni, di ogni fantasia umana”. 2001 è il ciclo dell'uomo che si compie, la parabola dell'evoluzione umana, temporale e culturale, che si chiude. Ma Kubrick concede una possibilità all'essere umano: gli rende accessibile l'esperienza mistica del metafisico. Il monolito nero va visto allora come "la porta che dà accesso all'alba dell'uomo” e come ente puro e astratto, colossale e imperscrutabile eppure rassicurante, che guida, indirizza e accompagna l’essere umano durante tutto il suo sviluppo. Ciascuno di noi si riconoscerà nel monolito - la "chiave" dell'arco evolutivo della specie umana cui ispirarsi o cui tendere - attribuendogli però una connotazione diversa che rispetta la propria filosofia o visione personali, senza pretesa di razionalità e univocità di interpretazione: c'è chi lo intenderà come una metafora del (proprio) Dio, c'è chi lo considererà chissà quale imprecisata entità superiore o Mito e ancora c'è chi, semplicemente, lo leggerà come il libro della Scienza e della Tecnologia, espressioni dell’Intelligenza umana. Il messaggio centrale sta proprio nell'esaltazione del dogma dell'inconoscibilità: l'Universo - e con esso il nostro destino in quanto uomini - non può essere totalmente "dimostrato" né assolutamente intuito, poiché la verità non è l’obiettivo ma la strada. E’ il dilemma e l’angoscia ma paradossalmente anche il senso e la bellezza del viaggio nell’universo dell’intera esistenza umana, aperta ad ogni possibile alternativa in relazione alle proprie scelte di autenticità, che possono dettarsi se non altro dall’utilità al vivere meglio. 99.0.4 - Oltre l’architettura (Il Cosa) Il Faro Nero del Mediterraneo, punto di riferimento totemico in uno scenario territoriale strategico senza eguali (quello dello Stretto di Messina), rappresenta un’architettura ideale del paesaggio, intesa come critica del presente e immaginazione di un futuro possibile, sede UPM (Unione per il Mediterraneo) e simbolo della cooperazione (politica, economica, sociale, culturale ed umana) dei paesi Euromediterranei, secondo il “processo di Barcellona”, alla ricerca di un nuovo equilibrio d’identità, a seguito della crisi che ha investito il Mezzogiorno del Mediterraneo in rivoluzione, oramai sull’orlo del caos. Nel quadro mediterraneo, parafrasando Braudel, non si tratta di avviare un dialogo fra culture richiamandosi a principi sin troppo universali ma di mostrare invece che, in un ampio spazio intorno al mare Mediterraneo, si è svolto e si svolge da sempre un plurimillenario processo storico, essenzialmente caratterizzato da contatti e da influenze, da scambi di uomini e di cose, di elementi di cultura materiale e intellettuale, tra imperi, stati, regioni, città, popolazioni e dunque fra le civiltà presenti sulle rive del mare. E questo è tale che nel Mediterraneo della storia ogni popolo, ogni cultura, ogni civiltà è sì se stessa ma segnata da numerose eredità da varie parti provenienti. A questo processo, che è la storia stessa del Mediterraneo, non vi è cultura e popolo mediterranei che non abbiano in qualche modo contribuito, senza asserire primati e affermare gerarchie. Allora “l’Unità del Mediterraneo è Realtà” solo attraverso un percorso di “riconoscimento” d’appartenenza comune - all’insegna del rispetto e della difesa del valore della diversità contro l’omologazione - alla “Grande Dimensione Mediterranea”. “[…] solo la [Grande Dimensione] può attivare quel regime di complessità che coinvolge la piena comprensione [dell’attualità] e dei campi ad essa collegati. Cento anni fa una generazione di conquiste teoriche e tecnologiche ha scatenato un Big Bang […] un insieme di mutazioni capaci di provocare la nascita di un’altra specie di [strutture] come mai ne erano state concepite e insieme dotate di grandi potenzialità per la riorganizzazione sociale, una programmazione infinitamente più ricca. […] In un paesaggio di disordine, dissociazione, smembramento e rifiuto, l’attrattiva della [Grande Dimensione] sta nella sua possibilità di ricostruire l’Unità, di far risorgere la Realtà, reinventare il collettivo e rivendicare il massimo di possibilità. Solo per mezzo della [Grande Dimensione] [la società] può dissociarsi dagli esausti movimenti ideologici […] per riacquistare la sua strumentalità come veicolo di modernizzazione. […] La [Grande Dimensione] riconosce che la [società], per come la conosciamo, è in difficoltà […]. La [Grande Dimensione] distrugge [i vecchi equilibri], ma è anche un nuovo inizio. Può ricomporre ciò che spezza. Un paradosso della [Grande Dimensione] è che, a dispetto [della sua mole], e anzi proprio per la sua rigidità, è il tipo di [struttura che contempla] l’imprevedibile. Invece di rinforzare la coesistenza, la [Grande Dimensione] si basa su regimi di libertà, sull’assemblaggio delle massime differenze. Solo la [Grande Dimensione] può accogliere una proliferazione eterogenea di eventi in un unico contenitore. Essa sviluppa strategie per organizzare sia la loro indipendenza che la loro interdipendenza all’interno di una entità più vasta, in una simbiosi che esaspera la specificità, anziché comprometterla. Attraverso la contaminazione piuttosto che attraverso la purezza, attraverso la quantità piuttosto che la qualità, solo la [Grande Dimensione] può favorire autenticamente nuove relazioni tra entità […] che ampliano la propria identità, invece di limitarla. […] A prima vista le attività ammassate nella struttura della [Grande Dimensione] esigono l’interazione, ma la [Grande Dimensione] allo stesso tempo le mantiene separate. Come le barre di plutonio che, a seconda del loro grado di immersione, ritardano o attivano la reazione nucleare, la [Grande Dimensione] regola l’intensità della coesistenza programmatica. […]”. L’architettura stessa, interpretazione e sperimentazione continua della realtà che si offre al campo delle sue possibilità, sfida la modernità non potendo allinearsi alla neutralità di fronte alla forza del “Disegno Globale”, per cui alle “distanze” notevolmente contratte corrispondono “dimensioni” enormemente allargate. Ne consegue che il contesto non è il singolo edificio ma la sfera urbana e territoriale, la realtà - nel senso più ampio - che non si riesce a cogliere appieno. Alla fine il monolito nero - sorto all’improvviso nel “cratere terrestre” denominato 99 CLAVIUS Base - non sarà più un congegno definitivo ma, per adattarsi alla realtà, sotto il soffio persistente di Meseuro, diventerà un “progetto imperfetto”. “Là dove l’architettura pone certezze, la [Grande Dimensione] pone dubbi: trasforma la città da una sommatoria di evidenze in un accumulo di misteri. Ciò che si vede non corrisponde più a ciò che realmente si ottiene”. Ovvero il problema della Grande Dimensione è il nostro Tempo. TERRI © 2001-2011



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